mercoledì 28 marzo 2012

SGSL nelle piccole imprese: la fase di attuazione

Un supporto per le micro e piccole imprese nella fase di attuazione relativa a un sistema di gestione. Le competenze, il piano annuale di formazione, le comunicazioni, la partecipazione, le procedure di lavoro e l’analisi di sicurezza delle attività.



Dopo aver affrontato più volte il tema della fase di pianificazione relativa all’adozione di sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) da parte delle piccole imprese, ci soffermiamo oggi sul alcuni aspetti della vera e propria fase di attuazione.
Lo facciamo facendoci guidare dal documento Inail dal titolo: “ Linee di indirizzo SGSL – MPI. Per l’implementazione di Sistemi di Gestione per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro nelle Micro e Piccole Imprese”, linee di indirizzo redatte proprio per supportare le micro e piccole imprese nell’implementazione di un SGSL attraverso la proposta di modalità applicative semplificate, appropriate alle caratteristiche dimensionali e strutturali.
Riguardo all’attuazione di un Sistema di gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro il documento prende in considerazione diversi argomenti: formazione, comunicazione, partecipazione, procedure di lavoro, manutenzione, sorveglianza sanitaria, dispositivi di Protezione Individuale e emergenze. Rimandandovi ad una lettura esaustiva delle linee di indirizzo, ne riprendiamo brevemente alcuni.
Competenza, formazione e consapevolezza
Le linee di indirizzo sottolineano che è necessario “sviluppare una adeguata consapevolezza tra i lavoratori in merito all’importanza della conformità delle proprie azioni rispetto alla politica ed ai requisiti del SGSL, alle conseguenze che la loro attività ha rispetto alla salute e sicurezza sul lavoro e alle possibili conseguenze causate da uno scostamento rispetto a quanto previsto”.
Per garantire tutto l’azienda deve dunque “definire le modalità informative, formative e di addestramento, tenendo conto dell’esperienza maturata da ogni lavoratore, al fine di rendere il proprio personale competente per garantire una efficace partecipazione al funzionamento del SGSL”.
In particolare il DL/RSPP “in base alle risultanze della Valutazione dei Rischi ed in conformità con la legislazione vigente ed i contratti collettivi di lavoro applicati, valutate le capacità e le condizioni dei lavoratori, pianifica le necessità informative, formative e di addestramento sulla salute e la sicurezza. Predispone il ‘Piano annuale di informazione - formazione - addestramento per la sicurezza’ e lo aggiorna in occasione della revisione ed eventuale rielaborazione della valutazione dei rischi, coinvolgendo, secondo le rispettive attribuzioni e competenze, il RLS/RLST ed il Medico Competente”. Tale piano contiene “l’articolazione delle attività informative, formative e di addestramento: formazione e aggiornamento per il RSPP, per eventuali ASPP, per il RLS, per gli addetti alle emergenze e al primo soccorso, per i preposti, per i lavoratori e per il DL nel caso in cui svolga direttamente i compiti del S.P.P.”.
Si ricorda poi che “al termine degli interventi formativi deve essere verificato il grado di apprendimento”.
Comunicazione, consultazione, partecipazione, rapporto con l’esterno
Il DL/RSPP “gestisce le comunicazioni interne ed esterne relativamente alle tematiche di Salute e Sicurezza; consulta e coinvolge i lavoratori, anche attraverso i loro RLS/RLST come previsto dalla legislazione vigente e dai contratti collettivi di lavoro. Oltre a garantire la comunicazione in modo da rendere partecipi tutti i lavoratori, assicura, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, a chiunque ne abbia titolo e ne faccia richiesta (enti locali, cittadini, dipendenti diretti e indiretti, clienti e fornitori, ecc.) una risposta esauriente e comprensibile”.
Ad esempio l’azienda:
- “diffonde informazioni sulla organizzazione della sicurezza e su chi siano i soggetti che hanno incarichi specifici in materia;
- raccoglie osservazioni, commenti e proposte, dai lavoratori e dagli altri soggetti interessati, sulle misure preventive e protettive adottate, sulle procedure e sui metodi di lavoro adottati”. Le comunicazioni possono essere diffuse “per mezzo di bacheche, posta interna, posta elettronica, ovvero tramite riunioni specifiche, opuscoli”.
Inoltre l’Azienda incoraggia la partecipazione di tutti i lavoratori, promuove la “cooperazione in materia di sicurezza”, “assicura il tempo necessario e la massima collaborazione al RLS/RLST”.
Vi rimandiamo alla lettura del documento in merito ad un elenco esemplificativo di temi per i quali è auspicabile consultare e coinvolgere i lavoratori.
Procedure di lavoro
Il DL/RSPP “identifica le procedure, istruzioni e strumenti di programmazione che regolano i processi aziendali che possono avere influenza sulla salute e la sicurezza sul lavoro al fine di attuare quanto previsto dal sistema di gestione, in conformità alla politica definita dall’azienda, alla valutazione dei rischi e alle altre disposizioni di legislazione in materia”.
In particolare dalla valutazione dei rischi “connessa con l’analisi dei processi di lavoro e delle attività svolte in azienda il DL/RSPP individua e definisce le caratteristiche e i punti critici da controllare nei processi e nelle attività lavorative”. E una volta individuate le criticità il DL/RSPP, “in collaborazione con gli eventuali preposti, redige idonee procedure di lavoro che individuano, in termini di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, le corrette modalità lavorative specificando ruoli e responsabilità dei soggetti coinvolti ed includono le relative attività di sorveglianza, misurazione e controllo”.
E se necessario “ulteriori dettagli operativi su elementi particolari che necessitano di indicazioni dedicate (macchine, sostanze, operazioni, ecc.) possono essere riportate in specifiche istruzioni operative”. È evidente che tali procedure operative sono oggetto di informazione, formazione e addestramento.
Alle linee di indirizzo dell’Inail è allegato un “Modulo Analisi di Sicurezza delle Attività”.   
L’analisi di sicurezza delle attività (ASA) ipotizza in questo caso “la presenza di pochi o, addirittura, di un solo addetto operativo nell'area interessata. Non sono considerate le possibili interferenze fra persone, mezzi o macchine diverse, richiedendo la soluzione dei problemi di coordinamento fra i diversi operatori alla messa a punto di adeguate misure organizzative procedurali”.
Nel modulo sono riportati i seguenti stadi:
- “identificazione delle operazioni compiute dai vari lavoratori (la ripartizione in mansioni - in quanto fatto formale - non appare spesso sufficientemente dettagliata allo scopo);
-  scomposizione logica di ogni operazione relativamente complessa in una serie di singole operazioni elementari (massimo dieci, altrimenti è opportuno ripartirle in più attività)”.
Tutto ciò consente di studiare i potenziali pericoli insiti in ciascuna di esse, “in quanto per ogni situazione elementare è più facile:
- individuare e valutare qualitativamente le condizioni di potenziale pericolo, di probabilità e conseguentemente di rischio;
- predisporre adeguate misure di contenimento - procedure, DPI, eccetera - rendendo possibile il conseguimento della sicurezza preventiva;
- valutare il rischio dopo l’applicazione delle misure”.
È evidente che la tecnica “prevede una attiva collaborazione da parte dei lavoratori”, ricordando che un loro coinvolgimento degli operatori nella fase di identificazione dei potenziali pericoli e delle soluzioni “comporta anche di riflesso un loro maggior impegno nel rispetto delle scelte procedurali (e costituisce quindi una differente ed efficace forma di informazione e formazione)”.
Si ricorda infine che le ASA “possono essere predisposte in fase redazione del Documento di Valutazione dei Rischi per ognuna delle singole attività e aggiornate dinamicamente per l’esecuzione di ogni singola commessa, anche su base giornaliera”.
   
Inail - Consulenza Tecnica Accertamenti Rischi e Prevenzione e Direzione Centrale Prevenzione, “ Linee di indirizzo SGSL – MPI. Per l’implementazione di Sistemi di Gestione per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro nelle Micro e Piccole Imprese” (formato PDF, 1.82 MB).
Tiziano Menduto

lunedì 19 marzo 2012

Nuovi Accordi: quale formazione pregressa è riconosciuta?

I punti poco chiari e di dubbia interpretazione dell’Accordo relativo alla formazione di lavoratori, preposti e dirigenti commentati da Cinzia Frascheri. Gli enti bilaterali, i docenti, le verifiche, le disposizioni transitorie e la formazione pregressa.


L’ Accordo tra lo Stato e le Regioni, approvato il 21 dicembre 2011, sulla formazione di lavoratori, preposti, dirigenti, costituisce un adempimento sostanziale - benché non puntuale - di quanto richiesto dal Decreto legislativo 81/2008.
Un adempimento che, tuttavia,  se colma un vuoto che ha generato in questi anni confusione e disomogeneità nella qualità della formazione alla sicurezza erogata, non è tuttavia esente a sua volta da piccole lacune e ambiguità.
Lacune riconosciute dagli stessi estensori del testo, tanto da costringerli all’elaborazione e alla futura pubblicazione di una nota esplicativa dell’Accordo.
Per approfondire i punti meno chiari dell’Accordo riprendiamo un articolo, pubblicato sul sito Salute & Sicurezza della CISL, scritto da Cinzia Frascheri (giuslavorista e responsabile nazionale C.I.S.L. per la Salute e Sicurezza sul Lavoro), dirigente sindacale che più volte PuntoSicuro ha consultato in passato, anche in relazione alla sua partecipazione ai lavori della Commissione Consultiva Permanente.

In “ I nodi interpretativi da sciogliere in merito all’Accordo Stato-Regioni relativo alla formazione dei lavoratori ai sensi dell'art.37, c.2, del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81 s.m.”, la D.essa Frascheri sottolinea che il lavoro di regolazione svolto dall’Accordo “è senz’altro da considerare complessivamente di rilevante valore e di grande importanza”, tuttavia tale valore e l’urgenza di renderlo operativo, “non cancella o vanifica (ma di più, forse, ne rafforza) la necessità di rilevare i tanti punti disseminati nel testo che risultano, non solo alquanto poco chiari e di dubbia interpretazione ma, ancor più problematicamente, di non univoca attuazione, alimentando così, in modo esponenziale la determinazione di future prossime situazioni di contenzioso, di disparità di trattamento e di garanzia di tutela, tenuto conto della centralità della formazione nell’azione di prevenzione e protezione nell’ambito lavorativo”.
Rimandando i lettori ad una lettura diretta ed esaustiva del documento, riassumiamo brevemente alcuni dei nodi non chiari e di difficile applicazione citati:
-premessa: il datore di lavoro, a fronte dell’obbligo di formazione relativo alle figure del dirigente e del preposto (art.37, comma 7), non è tuttavia vincolato in questo caso a rispettare le disposizioni previste nell’ Accordo Stato-Regioni. Potendo programmare percorsi formativi “alternativi” dovrà dimostrare, comunque, “l’altrettanta adeguatezza e specificità di questi”. Il punto di debolezza qui rappresentato “è dato dalla mancanza di chiarezza e di regolazione relativa proprio alla dimostrazione da dare”: “non si chiarisce in maniera puntuale il datore di lavoro a chi deve dimostrare, in quale forma, con quale documento e in base a quali parametri di confronto, l’aver programmato dei percorsi formativi ‘alternativi’, ma comunque garanti di fornire una formazione ‘adeguata e specifica’ (concetti quest’ultimi anch’essi di non univoca interpretazione)”;
-enti bilaterali ed organismi paritetici: l’Accordo dispone che i corsi di formazione per i lavoratori debbano essere realizzati previa richiesta di collaborazione agli enti bilaterali (…) e agli organismi paritetici. Questa “e” determina così “l’obbligo, a carico del datore di lavoro, di dover far pervenire la richiesta di collaborazione, non in modo alternativo - ad almeno uno dei due soggetti - ma inevitabilmente ad entrambi. Considerato poi che il datore di lavoro è chiamato obbligatoriamente a tenerne conto delle eventuali indicazioni espresse dall’ente bilaterale e dall’organismo paritetico, ancora più complicata si potrebbe venire a determinare la situazione nel caso in cui entrambi i soggetti (l’ente bilaterale e l’organismo paritetico) dovessero rispondere, sostenendo posizioni diverse od ancor peggio, contrastanti”;
-requisiti dei docenti: non ci soffermiamo su questa parte dell’accordo che fornisce alcune “regole-ponte in attesa dell’elaborazione, da parte della Commissione consultiva permanente dei criteri di qualificazione della figura del formatore-docente per la salute e sicurezza sul lavoro”. Tuttavia ricordiamo che l’autrice dell’articolo sottolinea che in relazione all’arco di tempo previsto, un triennio, per garantire il minimo dell’esperienza e della competenza necessarie, “è l’indeterminatezza delle modalità, nei modi e nei tempi per poter accertare tale requisito che crea non poche perplessità”;
-organizzazione della formazione: si riscontra nell’accordo “l’assenza per i lavoratori dell’obbligo della prova di verifica dell’apprendimento al termine del percorso formativo”, una scelta e non una mera dimenticanza degli estensori del testo, in quanto questa questione è “da sempre portatrice di contrasti e posizioni critiche, di natura diversa”. In realtà “l’inserimento della prova obbligatoria di verifica dell’apprendimento, al termine di ogni percorso formativo, dovrebbe essere un elemento essenziale (anche quale modalità indiretta per la verifica dell’efficacia dell’azione formativa svolta da un determinato docente)”. La D.essa Frascheri indica che si potrebbe prevedere “una prova di verifica svolta con modalità che possano esaltare le capacità del soggetto nello svolgimento del suo lavoro/mansione, evitando così sterili richiami a modalità scolastiche (spesso discriminanti)”;
-lavoratori stranieri: se per i lavoratori stranieri viene prevista obbligatoriamente una prova di verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare, “a mancare, sono le specifiche secondo le quali si debba svolgere tale verifica”. Il rischio è quello di creare, per questo e per altri aspetti non chiariti, una “condizione di totale difformità sul territorio nazionale”;
-e-Learning: “alcune non chiarezze emergono nell’ambito delle categorie e dei percorsi formativi per i quali ne è consentito l’utilizzo”. Ad esempio “prevedendo la possibilità di poter erogare in e-Learning la formazione dei preposti, nell’Accordo si precisa che solo le tematiche di natura ‘generale’ possano farne parte. Nella chiarezza dei punti previsti (dal numero 1 al numero 5, dell’elenco complessivo delle materie oggetto di formazione per i preposti), a mancare è l’attribuzione della quantità di ore ‘adeguata’ per poter svolgere tale parte del percorso formativo”.
-condizioni particolari: il “problema dell’indeterminatezza torna, nel testo dell’Accordo, anche in tema di crediti formativi”. In particolare “la linearità dell’indicazione, in merito ai crediti formativi permanenti, e ai soggetti autorizzati, non la si ritrova per quanto riguarda l’indicazione dei contenuti e della durata necessari affinché si possano ritenere ‘conformi’ ai percorsi formativi delineati dall’Accordo, lasciando ampi (e, pertanto, assoluti) margini di discrezionalità nella valutazione, in primis ai datori di lavoro e, comunque, agli organi di vigilanza, attivi su tutto il territorio nazionale e non così puntualmente coordinati e raccordati”;
-formazione dei preposti: riguardo alla previsione delle prove di verifica finale per dirigenti e preposti, la disposizione “risulta alquanto generica, ma soprattutto scarna (e pertanto di difficile concretizzazione) nella parte relativa alla documentazione necessaria per poter dare ufficialmente conto dell’avvenuta prova di verifica”;
-disposizioni transitorie e formazione dei dirigenti: - “anche in tema di durata dei percorsi formativi, la mancanza di chiare (puntuali e semplici) indicazioni, crea terreno fertile per un ulteriore ritardo nell’applicazione delle disposizioni, dal valore estremamente significativo (e inaccettabile, visto il già troppo tempo trascorso nell’attesa delle indicazioni fornite dall’Accordo, dopo circa quattro anni di attesa, dal mandato legislativo previsto dal d.lgs. n.81 del 2008 s.m.)”. In particolare “nella sezione dedicata al percorso formativo dei dirigenti si precisa in modo esplicito che la formazione dei dirigenti dovrà essere completata nell’arco temporale di dodici mesi. Nella sezione delle Disposizioni transitorie, però, si legge che i percorsi formativi dei dirigenti (e dei preposti) dovranno, unicamente in sede di prima applicazione, essere conclusi entro e non oltre il termine di diciotto mesi dalla pubblicazione, con una ulteriore specifica (che modifica ancora i termini di realizzazione della formazione) che prevede, per i nuovi assunti, (dirigenti e preposti) nel caso il datore di lavoro non possa far completare il percorso prima dell’adibizione al ruolo o contestualmente ad essa, il termine di conclusione del percorso entro e non oltre i sessanta giorni dall’assunzione”. Se dalla lettura combinata del testo si evince (“o meglio, servirebbe una indicazione per essere certi di poter evincere”) che il tempo ritenuto di prima applicazione  “andrebbe individuato nei primi diciotto mesi di vigenza, considerandolo pertanto a regime solo a partire dalla data dell’11 giugno 2013 (tenuto conto che si fa riferimento alla data di pubblicazione e non di entrata in vigore)”, è necessaria una definizione chiara di questi tempi. La determinazione del periodo di tempo relativo alla fase di prima applicazione è importante anche in riferimento al “riconoscimento dei percorsi formativi per i lavoratori, preposti e dirigenti, formalmente e documentalmente approvati (in questo punto, almeno, la chiarezza sulle modalità di verifica è precisa) alla data di entrata in vigore dell’Accordo, se rispettosi delle previsioni normative e delle indicazioni previste dai contratti collettivi”;
-riconoscimento formazione pregressa: anche in questo caso l’autrice riscontra una leggerezza nel confondere l’utilizzo della congiunzione «e» con l’espressione «e/o» tale da fornire ancora una volta “un motivo di scarsa chiarezza e di deleteria indeterminatezza applicativa”. Infatti quanto indicato in relazione all’obbligo a carico del datore di lavoro di “comprovare di aver svolto una formazione rispettosa, nella durata, contenuti e modalità, delle previsioni normative ‘e’ delle indicazioni previste nei contratti collettivi di lavoro” determina “l’obbligo di dover dimostrare il duplice rispetto (e, di contro, l’impossibilità a far valere la formazione pregressa ad oggi svolta, in caso di mancata indicazione specifica nel contratto; condizione attualmente piuttosto ancora frequente). Se di certo la formazione è uno strumento fondamentale nell’azione di prevenzione e di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, non consentire ai datori di lavoro di poter far valere la formazione fino ad oggi svolta (se adeguata e specifica), costringendoli a ripeterla totalmente a causa di un maldestro inserimento nel testo, in parola, di una ‘e’ al posto di una ‘o’, appare alquanto insostenibile e improduttivo, tenuto anche conto del non dover trascurare la pro-attività di questi in confronto a chi, in questi anni, si è limitato ad aspettare le regole”;
-aggiornamento: l’articolo si conclude ritenendo “estremamente dubbia” la quantità di ore previste per il percorso di aggiornamento del preposto. Malgrado quanto indicato nel testo in tema di Aggiornamento di un obbligo formativo (a cadenza quinquennale) di durata minima di sei ore, “la specificazione riferita al preposto (e al dirigente), sull’oggetto dell’aggiornamento (in relazione ai propri compiti in materia di salute sicurezza sul lavoro) crea incertezza interpretativa. Tenuto conto che il percorso formativo complessivo del preposto è formato da una parte relativa al percorso formativo dei lavoratori e ad una particolare sul ruolo del preposto, in tema di aggiornamento, emerge il dubbio se tale soggetto debba svolgere l’aggiornamento sia per la parte del suo ruolo riferita alla figura del lavoratore sia, in modo aggiuntivo, per la parte riferita espressamente al ruolo di preposto (determinandosi così, nel quinquennio, un obbligo di sei ore di formazione di aggiornamento, più altre sei ore, rispettivamente l’una per la parte relativa al ruolo del lavoratore e l’altra relativa al preposto)”.

I nodi interpretativi da sciogliere in merito all’Accordo Stato-Regioni relativo alla formazione dei lavoratori ai sensi dell'art.37, c.2, del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81 s.m.”, a cura di Cinzia Frascheri, giuslavorista e responsabile nazionale C.I.S.L. per la Salute e Sicurezza sul Lavoro, intervento pubblicato sul sito Salute & Sicurezza della CISL e sulla rivista “Ambiente & Sicurezza” de IlSole24Ore (formato PDF, 47 kB).

RTM


martedì 13 marzo 2012

Sicurezza sul lavoro e ambiente, da Fondimpresa 22 milioni per la formazione

9 marzo 2012. L'associazione costituita da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil finanzia la realizzazione di azioni formative a vantaggio dei lavoratori delle imprese aderenti. Il 16 aprile il primo termine per la presentazione delle domande.

Ventidue milioni di euro per la realizzazione di piani formativi volti a migliorare le competenze sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e sulle tematiche ambientali. A metterli a disposizione è Fondimpresa, associazione costituita da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil per promuovere la formazione continua dei quadri, degli impiegati e degli operai nelle aziende aderenti.
Tre scadenze per le richieste di accesso ai finanziamenti. Dei 22 milioni messi a disposizione complessivamente, 16 sono destinati a progetti formativi per la salute e la sicurezza sul lavoro, suddivisi in due tranche da otto milioni di euro: la prima per il finanziamento dei piani presentati entro la scadenza del 16 aprile e la seconda per quelli per cui sarà fatta domanda tra il 17 settembre e il 16 ottobre 2012. Nel caso dei piani relativi alla formazione sui temi dell'ambiente, invece, le domande dovranno essere presentate nel periodo compreso tra il 19 aprile e il 31 maggio e i fondi a disposizione sono pari a sei milioni di euro. La presentazione delle domande deve avvenire esclusivamente tramite posta elettronica certificata all'indirizzo presentazione@avviso.fondimpresa.it.
Ogni attività deve coinvolgere almeno 80 lavoratori. La conclusione delle attività formative deve avvenire entro 11 mesi dalla data di ricevimento della comunicazione di ammissione al finanziamento. Le azioni formative devono avere una durata di norma non inferiore alle otto ore e non superiore alle 80 ore. Nel caso della formazione sulle tematiche ambientali, però, la durata può arrivare fino a un massimo di 400 ore, ma solo nell'ambito di percorsi che si concludono con l'acquisizione di competenze verificate e certificate. Ciascun piano deve prevedere la partecipazione di almeno cinque aziende aderenti a Fondimpresa beneficiarie della formazione e di un numero di lavoratori non inferiore a 80. Su richiesta di Fondimpresa, i soggetti attuatori del piano sono tenuti a mettere a disposizione il materiale realizzato nell'ambito delle attività, che il fondo può utilizzare per altre attività formative a vantaggio delle aziende aderenti.
A ogni piano un importo compreso tra 60mila e 180mila euro. Ogni piano formativo può riguardare un solo ambito, deve essere condiviso con accordo sottoscritto da rappresentanze delle parti sociali riconducibili ai soci di Fondimpresa, a livello aziendale, territoriale e/o di categoria, e sarà finanziato con un importo compreso tra i 60mila e i 180mila euro. L'erogazione avverrà con un anticipo fino al 70% dell'importo del finanziamento, da richiedere entro 120 giorni dalla data di comunicazione di ammissione, mentre il saldo sarà versato entro 60 giorni dall'approvazione della rendicontazione finale da parte di Fondimpresa. Per i dettagli relativi alle modalità di partecipazione e alle procedure di erogazione dei fondi è possibile consultare il testo integrale dell'Avviso n. 1/2012 e gli allegati disponibili sul sito www.fondimpresa.it.


lunedì 5 marzo 2012

Decreto semplificazioni: soppressi i controlli sulla sicurezza?

L’articolo 14 contenuto nel D. Legge 5/2012, relativo alle semplificazioni dei controlli sulle imprese, contiene alcuni punti critici che rischiano di ridurre o rendere meno efficaci i controlli sulla sicurezza, sulla salute e sui temi ambientali.



In questi giorni organi di stampa, politici, esponenti sindacali e associazioni stanno lanciando un allarme in merito al possibile depotenziamento relativo ai controlli ambientali e sulla sicurezza sul lavoro in merito ai contenuti del Decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo”.
E un primo segnale di ascolto di questo allarme è stato il parere favorevole espresso ieri dalle Commissioni riunite I e X della Camera ad alcuni cambiamenti al testo del decreto-legge che potrebbero, se approvati in aula (in relazione anche al percorso che il governo sceglierà per la votazione del decreto), portare a un cambiamento di impostazione al concetto di “Semplificazione dei controlli sulle imprese".
Vediamo comunque di fare un po’ di chiarezza e approfondire nel merito queste “grida di allarme”, rimandando tuttavia una più appropriata interpretazione della normativa a futuri articoli e approfondimenti di PuntoSicuro.
Stiamo parlando del decreto-legge n. 5 del 2012 che, nel solco dei precedenti decreti-legge n.112 e 200 del 2008, persegue l' obiettivo della semplificazione, incidendo su un ampio spettro di settori normativi.
Il decreto-legge, che è entrato in vigore il 10 febbraio 2012 e che in qualche caso si intreccia con il decreto-legge che riguarda il tema contiguo delle liberalizzazioni, si compone di 63 articoli che, come detto, incidono su un ampio spettro di settori normativi.
Tuttavia la norma che ha portato a queste denunce di depotenziamento e soppressione dei controlli è contenuta nell’articolo 14 che tratta della “Semplificazione dei controlli sulle imprese".
Dopo aver ricordato, al comma 1, che la disciplina dei controlli sulle imprese, comprese le  aziende agricole, è ispirata, fermo quanto previsto dalla normativa comunitaria, ai principi della semplicità, della  proporzionalità dei controlli stessi e  dei  relativi  adempimenti  burocratici alla effettiva tutela del rischio, nonché del  coordinamento dell'azione svolta dalle amministrazioni statali, regionali e locali, si arriva al comma 3 che recita: al fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitività delle imprese e di assicurare la migliore tutela degli interessi pubblici, il Governo é autorizzato ad adottare (…) uno o più regolamenti (…) volti a razionalizzare, semplificare e coordinare i controlli sulle imprese.
Alcomma 4 è previsto che tali regolamenti siano emanati su proposta del Ministro per la P.A., dello sviluppo economico e dei Ministri competenti (…) sentite le associazioni imprenditoriali, ma senza riferimento, ad esempio alle associazioni dei prestatori di lavoro, ai sindacati.
Il comma 4 riporta poi i principi e criteri di tali regolamenti.
Si parla di “proporzionalità dei  controlli”, di “eliminazione di attività di controllo non necessarie”, di “coordinamento e programmazione dei controlli”, di “informatizzazione  degli  adempimenti”. Fino ad arrivare al punto f) dove si legge: soppressione o riduzione dei controlli sulle imprese in possesso della certificazione del sistema di gestione per la qualità (UNI EN ISO-9001), o altra appropriata certificazione emessa, a fronte di norme armonizzate, da un organismo di certificazione accreditato da un ente di accreditamento designato da uno Stato membro dell’Unione europea ai sensi del Regolamento 2008/765/CE, o firmatario degli Accordi internazionali di mutuo riconoscimento (IAF MLA).
E nel comma 5 si indica che le regioni e gli enti locali, nell’ambito dei propri ordinamenti, devono confermare le attività di controllo di loro competenza ai principi di cui al comma 4 (entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono adottate apposite Linee guida mediante intesa in sede di Conferenza unificata).
Torniamo alla lettera f) e rileviamo che la norma UNI EN ISO 9001:2008 indica in realtà i principi relativi alla qualità di processo per produrre beni o erogare servizi mirando prioritariamente alla soddisfazione del cliente. Un’azienda che adotta il sistema di gestione per la qualità (SGSQ), UNI EN ISO 9001:2008, si assume degli obblighi relativi al proprio rapporto di qualità con i clienti, obblighi che non hanno riferimento ai controlli in relazione, ad esempio, a salute, ambiente e sicurezza.
Insomma potrebbe bastare avere un certificato UNI ISO-9001 o altra appropriata certificazione emessa, per vedere ridotti o soppressi tutti i controlli della pubblica amministrazione, tranne che in materia fiscale e finanziaria.
Inoltre lo stesso comma 4, lettera d), riguardo ai controlli parla di collaborazione amichevole con i soggetti controllati  al  fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità. E in tema di controlli, al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità cui corrispondono sanzioni penali, il termine “amichevole” potrebbe essere interpretato in forma distorta. E le soluzioni “amichevoli” potrebbero fare riferimento a controlli concordati e con preavviso.
In riferimento a questi contenuti e al rischio che questo articolo si risolva in un effettivo depotenziamento dei controlli, sono stati presentati diversi emendamenti dall’ onorevole Antonio Boccuzzi.
Ad esempio un emendamento presuppone la soppressione della lettera f) in quanto le UNI EN ISO 9001:2008 non hanno a che fare con i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale, con l’ordine pubblico e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.
Un altro emendamento non sopprime il punto f) ma ne cambia il testo facendo riferimento a “programmazione e modulazione dei controlli sulle imprese tenendo conto, per i reati previsti, della effettiva adozione e efficace attuazione del modello di organizzazione e di gestione di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.
I pareri positivi espressi ieri dalle Commissioni della Camera citati all’inizio dell’articolo, riguardano nello specifico l’ipotesi di cancellazione della Lettera f.
Inoltre, il termine collaborazione “amichevole” sarebbe mutato in collaborazione “leale”.
 
Tiziano Menduto